Einaudi. Memoria e innovazione

Einaudi. Memoria e innovazione

“Lo spirito digerisce le cose più dure”. Questo il motto che ha accompagnato le edizioni Einaudi fin dalla sua nascita nel 1933. Chiara sintesi degli ostacoli cui andava incontro un’avventura editoriale in quegli anni. Non solo fare cultura, ma provare a diffonderla, come atto prima di tutto esistenziale, oltre che politico. Quando Giulio Einaudi fonda l’omonima casa editrice aveva appena ventun anni. Lo affiancano una serie di giovani che diverranno nel corso degli anni alcuni degli esponenti più importanti della cultura e della letteratura italiana del secolo: da Leone Ginzburg a Cesare Pavese, che possiamo considerare i primi direttori editoriali, passando per Cesare Balbo e Italo Calvino, nel dopoguerra. Il motto della casa editrice è inserito nel celebre marchio che raffigura uno struzzo: “uno struzzo, quello di Einaudi, che non ha mai messo la testa sotto la sabbia” affermava Norberto Bobbio. Tale atteggiamento si può ritrovare nelle parole con cui Natalia Ginzburg, altro nome legato alla casa editrice, descriveva la personalità di Giulio Einaudi: “bello, roseo, col collo lungo, i capelli lievemente ingrigiti sulle tempie come ali di tortora. […] La sua timidezza si ridestava solo a tratti quando doveva avere colloqui con estranei, e non sembrava più timidezza, ma un freddo e silenzioso mistero. Per cui la sua timidezza intimidiva gli estranei, i quali si sentivano avvolti d’uno sguardo azzurro, luminoso e glaciale, che li indagava e li soppesava di là dal grande tavolo di vetro, a una glaciale e luminosa distanza. Quella timidezza era così diventata un grande strumento di lavoro”. Un lavoro – si può aggiungere – che non ha mai smesso di rappresentare uno dei punti di riferimento della cultura torinese, e non solo.

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