La grande industria non è mai stata a misura d’uomo. Già tra fine ‘800 e inizio ‘900, periodo di grande sviluppo, l’Italia vedeva il passaggio dalle piccole officine ai grandi stabilimenti, dall’artigianato alla vera e propria produzione industriale. Gli spazi, le quantità prodotte, il numero dei lavoratori: tutto era in crescita. Dalla dimensione della comunità si passava a quella, estesa e dispersiva, della città in espansione. Un’eccezione notevole a questa regola è rappresentata dal Villaggio Leumann di Collegno. Un tentativo pioneristico (siamo nel 1875) di conciliare sviluppo industriale e sviluppo sociale, produzione e benessere. Sorto accanto al cotonificio per volere dell’omonimo imprenditore di origine svizzera, si tratta a tutti gli effetti di un “villaggio”: ben più di un quartiere dunque, in cui sono presenti, oltre alle villette ad uso residenziale per operari e impiegati, una scuola, un asilo, una chiesa, uno spaccio alimentare, un teatro, l’ufficio postale. Il tutto progettato nello stile che, forse dopo il barocco, meglio rappresenta la cifra architettonica di Torino: il liberty. A questo si affiancava un intero sistema assistenziale (educazione, assistenza medica, pensione) promosso dall’impresa per i lavoratori che ha accompagnato lo sviluppo dell’azienda fino alla sua graduale dismissione a partire dagli anni ’70. Un paese in miniatura che oggi, circondato nel frattempo dall’espansione urbana, colpisce ancora di più per la sua peculiarità, mostrando le potenzialità di un’idea di sviluppo industriale e sociale coraggiosa e, forse, troppo poco seguita. A misura d’uomo appunto.